Condivido con voi.
Quando sono arrivata il Albania avevo 28 anni, ora ne ho 45.
Sono arrivata in un paese che stava iniziando a rimettersi in piedi dopo anni di chiusure e sofferenze. Ho visto crescere Scutari, ho visto asfaltare le strade (alcune), ma soprattutto mi sono ritrovata in un contesto in cui -nel paesino dove avevamo iniziato a vivere- non c’era la possibilità della messa tutti i giorni (ed in alcuni villaggi tutt’ora le persone non possono partecipare alla messa per vari motivi…distanze, mancanza di sacerdoti); non avevamo internet ed il prete se riusciva (perchè si doveva dividere fra molti villaggi) arrivava una domenica su 4.
Per me, abituata “all’abbondanza liturgica” era una cosa molto strana, e alle volte mi sembrava ingiusta. Con il tempo ho imparato da questo popolo l’arte del saper attendere ciò che è dono.
Ricordo un anziano che andavo a trovare e che mi raccontava del tempo in cui le chiese erano chiuse per la dittatura comunista, dove venivi ucciso e torturato e della sofferenza che provava.
Allora gli ho detto: “Ma ora le chiese sono aperte, perchè non vieni?” Mi ha risposto: “Quando vi vedo passare con la macchina, mi metto fuori e guardo quando aprite la porta della chiesa e ringrazio Dio di avermi conservato fino a questo giorno, fino al giorno in cui posso godere di questo dono e questo mi basta. Non vengo non perchè non ne ho bisogno, ma perchè ho imparato a trovare Dio nelle pieghe del cuore….e poi sai, mi fanno tanto male le ginocchia!”.
Qui poi i c’è una signora che tutti i giorni fa il pane per la sua famiglia e ce ne porta un pezzetto, perchè ci sente figlie e vuole condividere quello che ha. Il pane condiviso è il pane della comunione…
Anche se sappiamo essere “pesante” questa situazione, credo che tutti dovremmo imparare che le pretese, anche quelle giuste, rischiano di indurire il cuore, dividere e rendere il linguaggio pesante e duro.
Non ci viene vietato di amare, ci viene chiesto di attendere. A me piace pensarla così e attendo.
sr. Mina